Il nuovo numero di Scuola di Fumetto è in edicola già da parecchi giorni. E nonostante galleggi da tempo nella mia borsa assieme ad altre riviste, ritagli di giornale, agende, rubriche, documenti, i-pod e appunti vari, con imbarazzante ritardo lo segnalo sola ora perché stimolato da una pagina fra tutte.
Ebbene, ogni mese esistono ottimi motivi per acquistarlo. Seppur con le dovute differenze, il prodotto editoriale della Coniglio, insieme a Fumo di china, rappresentano l'assoluto universo delle riviste specializzate per appassionati, autori ed esordienti ancora acquistabile in edicola. Assolutamente da leggere e da guardare l'intervista a Solano Lopez raccolta da Laura Scarpa. E quello dell'amico Alessio Trabacchini -raramente si incontrano persone tanto competenti e graziose- al talento Andrea Bruno. E alle canoniche recensioni d'apertura -e rubriche di chiusura-, oltre naturalmente alle schede didattiche che catturano l'interesse anche dei più incapaci nell'arte del disegno, si alternano i racconti dell'autrice argentina Maitena Burundarena, di Davide Castellazzi (Il fumetto in Cina tra modernità e tradizione), delle Memorie dell'Arte Bimba di Filippo Scòzzari (di quel geniaccio maledetto e dannato parlerò sicuramente più avanti) e, attesissimo e doveroso, dell'omaggio ai sessant'anni dello zione più celebre di tutti i tempi. A Paperon de' Paperoni sono dedicate infatti le pagine centrali. E ovviamente l'articolo, con tanto di sketch-book, è a cura di Luca Boschi.
Ok, questo è più o meno tutto. Più o meno. Perché qualcosa, al di là delle interviste, delle anteprime e delle recensioni, ha attirato la mia attenzione. Forse più di Scòzzari o Bruno o del papero riccastro. Le pagine conclusive di Scuola di Fumetto, con l'angolo della posta e le due/tre tavole dell'autore esordiente, non solo incuriosce il lettore stimolato da quello spirito voyeuristico e da quell'indole invadente che ci porterebbe a spiare nella corrispondenza del vicino di casa approfittando di ogni volta che esce per andare a gettare l'immondizia. Non solo mette alla prova lo spirito critico di ognuno di fronte a disegni e illustrazioni di perfetti sconosciuti. Non solo. Questa rubrica -che meriterebbe senz'altro più spazio, ma il solo fatto che esista è già una benedizione- ha ormai assunto un ruolo educativo (con questo penso all'educazione all'immagine e al bello) e didattico. Ok, a volte chi si sottopone al giudizio della redazione è inconsapevole o dei propri limiti (troppo spesso evidenti) o della dote che si porta fin dalla nascita. Se li leggessimo con gli occhi dello studente che guarda il professore alla ricerca di quel 6 che equivale alla sufficienza, probabilmente vedremmo in quei commenti una stroncatura e non capiremmo niente. In verità ci sono sempre diritte giuste, mai eccessive, destinate a stimolare la produzione e il lavoro. Si legge con curiosità, simpatia, ammirazione. Poi ci si imbatte in Antonello Vincenti. Un ragazzino di dodici anni che immagino frequenterà la seconda media. Sorprendente. Sorprendente il suo Dylan Dog. Non tanto per il segno, comunque già sufficientemente maturo nonostante l'età, ma per la composizione. Se a dodici anni Antonello è in grado di fare disegni come questo Dylan, o come Spiderman che affonda nell'Uomo sabbia, chissà cosa sarà in grado di fare crescendo. Questi sono i casi in cui una dote -o talento o come accipicchia lo vogliamo chiamare- può -e deve- essere riconosciuto, coltivato, sviluppato. Il talento da solo non basta. Ma per favore -e dicendo questo mi rivolgo ai genitori di Antonello-: non costringetelo, se non lo vorrà, a fare percorsi di studio che lo porteranno a essere avvocato o ingegnere o chimico o geometra o chissà cosa. Sempre che lo voglia, Antonello potrebbe diventare ciò che sogna (e ciò che è già). Ma se non lo vorrà, ben venga giurisprudenza. Comunque vada, in bocca al lupo.
Ebbene, ogni mese esistono ottimi motivi per acquistarlo. Seppur con le dovute differenze, il prodotto editoriale della Coniglio, insieme a Fumo di china, rappresentano l'assoluto universo delle riviste specializzate per appassionati, autori ed esordienti ancora acquistabile in edicola. Assolutamente da leggere e da guardare l'intervista a Solano Lopez raccolta da Laura Scarpa. E quello dell'amico Alessio Trabacchini -raramente si incontrano persone tanto competenti e graziose- al talento Andrea Bruno. E alle canoniche recensioni d'apertura -e rubriche di chiusura-, oltre naturalmente alle schede didattiche che catturano l'interesse anche dei più incapaci nell'arte del disegno, si alternano i racconti dell'autrice argentina Maitena Burundarena, di Davide Castellazzi (Il fumetto in Cina tra modernità e tradizione), delle Memorie dell'Arte Bimba di Filippo Scòzzari (di quel geniaccio maledetto e dannato parlerò sicuramente più avanti) e, attesissimo e doveroso, dell'omaggio ai sessant'anni dello zione più celebre di tutti i tempi. A Paperon de' Paperoni sono dedicate infatti le pagine centrali. E ovviamente l'articolo, con tanto di sketch-book, è a cura di Luca Boschi.
Ok, questo è più o meno tutto. Più o meno. Perché qualcosa, al di là delle interviste, delle anteprime e delle recensioni, ha attirato la mia attenzione. Forse più di Scòzzari o Bruno o del papero riccastro. Le pagine conclusive di Scuola di Fumetto, con l'angolo della posta e le due/tre tavole dell'autore esordiente, non solo incuriosce il lettore stimolato da quello spirito voyeuristico e da quell'indole invadente che ci porterebbe a spiare nella corrispondenza del vicino di casa approfittando di ogni volta che esce per andare a gettare l'immondizia. Non solo mette alla prova lo spirito critico di ognuno di fronte a disegni e illustrazioni di perfetti sconosciuti. Non solo. Questa rubrica -che meriterebbe senz'altro più spazio, ma il solo fatto che esista è già una benedizione- ha ormai assunto un ruolo educativo (con questo penso all'educazione all'immagine e al bello) e didattico. Ok, a volte chi si sottopone al giudizio della redazione è inconsapevole o dei propri limiti (troppo spesso evidenti) o della dote che si porta fin dalla nascita. Se li leggessimo con gli occhi dello studente che guarda il professore alla ricerca di quel 6 che equivale alla sufficienza, probabilmente vedremmo in quei commenti una stroncatura e non capiremmo niente. In verità ci sono sempre diritte giuste, mai eccessive, destinate a stimolare la produzione e il lavoro. Si legge con curiosità, simpatia, ammirazione. Poi ci si imbatte in Antonello Vincenti. Un ragazzino di dodici anni che immagino frequenterà la seconda media. Sorprendente. Sorprendente il suo Dylan Dog. Non tanto per il segno, comunque già sufficientemente maturo nonostante l'età, ma per la composizione. Se a dodici anni Antonello è in grado di fare disegni come questo Dylan, o come Spiderman che affonda nell'Uomo sabbia, chissà cosa sarà in grado di fare crescendo. Questi sono i casi in cui una dote -o talento o come accipicchia lo vogliamo chiamare- può -e deve- essere riconosciuto, coltivato, sviluppato. Il talento da solo non basta. Ma per favore -e dicendo questo mi rivolgo ai genitori di Antonello-: non costringetelo, se non lo vorrà, a fare percorsi di studio che lo porteranno a essere avvocato o ingegnere o chimico o geometra o chissà cosa. Sempre che lo voglia, Antonello potrebbe diventare ciò che sogna (e ciò che è già). Ma se non lo vorrà, ben venga giurisprudenza. Comunque vada, in bocca al lupo.
1 commento:
12 anni l'autore??
incredibile!
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