Con Mauro Boselli -e dopo Sergio Bonelli- si conclude qui il trittico di interviste realizzate per Muf mag su Alfonso Font.
Mauro Boselli parla di Alfonso Font
di Gianluca Testa
Mauro Boselli, a quando risale il tuo primo incontro con Alfonso Font?
“Di persona ci siamo incontrati per la prima volta al Caffé Pedrocchi di Padova in occasione della “Bonelliana”. Credo fosse il 1997. Da tempo lavoravamo per il «Texone» numero dodici, ma senza esserci mai visti”.
Avete coltivato questo rapporto?
“Sì. E nell’ambiente non è scontato che accada. Quando Alfonso Font arriva a Milano è sempre un piacere passeggiare insieme per la città. Purtroppo non sono ancora riuscito a fargli visita in Spagna, nella sua casa di montagna. Lo farò presto. Non è un problema di pigrizia, ma di tempo. Nonostante io viaggi molto, purtroppo non sono ancora riuscito a programmare questa visita”.
Prima della collaborazione con Bonelli, Font aveva sempre scritto le storie che disegnava. Lavorare con una sceneggiatura non sua ha creato complicazioni?
“Assolutamente no. Font si mette a completa disposizione dello sceneggiatore, con grande professionalità”.
È mai intervenuto sul tuo lavoro?
“È capitato che abbia suggerito un intervento. Quando l’ha fatto, io ho sempre accettato”.
Sei uno sceneggiatore molto produttivo. Qual è il tuo metodo?
“Non scrivo mai un soggetto completo. Anzi, porto avanti anche dodici storie in contemporanea. E i disegnatori seguono il nostro ritmo. Si tratta di un metodo piuttosto comune tra gli sceneggiatori”.
Credo che Paola Barbato completi le sue sceneggiature, senza pause.
“Perché lei è prima di tutto una scrittrice. Quella è la sua formazione. Accade anche a Pasquale Ruju. Comunque lavorano e hanno lavorato scrivendo sceneggiature a blocchi Michele Medda, Bepi Vigna, Alfredo Castelli, Gian Luigi Bonelli e lo stesso Tiziano Sclavi. Con storie lunghe come quelle di Tex non sarebbe possibile altrimenti”.
Mauro Boselli parla di Alfonso Font
di Gianluca Testa
Mauro Boselli, a quando risale il tuo primo incontro con Alfonso Font?
“Di persona ci siamo incontrati per la prima volta al Caffé Pedrocchi di Padova in occasione della “Bonelliana”. Credo fosse il 1997. Da tempo lavoravamo per il «Texone» numero dodici, ma senza esserci mai visti”.
Avete coltivato questo rapporto?
“Sì. E nell’ambiente non è scontato che accada. Quando Alfonso Font arriva a Milano è sempre un piacere passeggiare insieme per la città. Purtroppo non sono ancora riuscito a fargli visita in Spagna, nella sua casa di montagna. Lo farò presto. Non è un problema di pigrizia, ma di tempo. Nonostante io viaggi molto, purtroppo non sono ancora riuscito a programmare questa visita”.
Prima della collaborazione con Bonelli, Font aveva sempre scritto le storie che disegnava. Lavorare con una sceneggiatura non sua ha creato complicazioni?
“Assolutamente no. Font si mette a completa disposizione dello sceneggiatore, con grande professionalità”.
È mai intervenuto sul tuo lavoro?
“È capitato che abbia suggerito un intervento. Quando l’ha fatto, io ho sempre accettato”.
Sei uno sceneggiatore molto produttivo. Qual è il tuo metodo?
“Non scrivo mai un soggetto completo. Anzi, porto avanti anche dodici storie in contemporanea. E i disegnatori seguono il nostro ritmo. Si tratta di un metodo piuttosto comune tra gli sceneggiatori”.
Credo che Paola Barbato completi le sue sceneggiature, senza pause.
“Perché lei è prima di tutto una scrittrice. Quella è la sua formazione. Accade anche a Pasquale Ruju. Comunque lavorano e hanno lavorato scrivendo sceneggiature a blocchi Michele Medda, Bepi Vigna, Alfredo Castelli, Gian Luigi Bonelli e lo stesso Tiziano Sclavi. Con storie lunghe come quelle di Tex non sarebbe possibile altrimenti”.
Lo Speciale Tex “Gli assassini” – l’unico “Texone” che hai sceneggiato – ha un carattere di unicità per la quantità dei luoghi in cui la storia è ambientata. Font non si sarà certo annoiato…
“Per il «Texone» numero dodici ho dato a Font una storia con continui cambi di scena. Pagina dopo pagina si alternano nuovi set. Dall’Arizona al Colorado, da San Francisco a Baja California. Visto che nel fumetto realizzare una scenografia non costa niente ci siamo sbizzarriti. E sì, credo che Font si sia proprio divertito”.
Unico è anche Font, dal segno così chiaro e caratterizzato. Per disegnare Tex immagino abbia dovuto lavorare molto.
“Vedi, Font si distingue per la forza del segno. Gli appartiene una matrice grottesca. Ma è stato in grado di stemperare questa sua caratteristica. Anche per questo motivo ritengo sia un autore straordinario. E poi riesce a disegnare bene anche i brutti e i cattivi. Un aspetto fondamentale per le storie western. Comunque bisogna sempre tenere presente che in Tex non si può mai esagerare…”.
A Font va un altro merito. Pochi autori riescono a disegnare scene fantascientifiche, comiche e di costume con lo stesso talento.
“Nel disegnare il «Texone», Font – così com’era accaduto per José Ortiz – ha dimostrato di saper essere un autore classico sulle storie regolari. Nonostante la personalità forte, Font ha un segno western fantastico. Autori come Ortiz sono passati subito al seriale. Font, essendo più imprevedibile, ha avuto bisogno di un po’ di tempo in più”.
Sembra però che i lettori di Tex non siamo ben disposti verso i cambiamenti.
“I lettori di Tex sono esigenti e molto legati al segno classico. Sì, c’era il timore che Font, capace di creare ambientazioni bizzarre, li sconcertasse. Ma anche i lettori sono riusciti a coglierne il valore”.
“Per il «Texone» numero dodici ho dato a Font una storia con continui cambi di scena. Pagina dopo pagina si alternano nuovi set. Dall’Arizona al Colorado, da San Francisco a Baja California. Visto che nel fumetto realizzare una scenografia non costa niente ci siamo sbizzarriti. E sì, credo che Font si sia proprio divertito”.
Unico è anche Font, dal segno così chiaro e caratterizzato. Per disegnare Tex immagino abbia dovuto lavorare molto.
“Vedi, Font si distingue per la forza del segno. Gli appartiene una matrice grottesca. Ma è stato in grado di stemperare questa sua caratteristica. Anche per questo motivo ritengo sia un autore straordinario. E poi riesce a disegnare bene anche i brutti e i cattivi. Un aspetto fondamentale per le storie western. Comunque bisogna sempre tenere presente che in Tex non si può mai esagerare…”.
A Font va un altro merito. Pochi autori riescono a disegnare scene fantascientifiche, comiche e di costume con lo stesso talento.
“Nel disegnare il «Texone», Font – così com’era accaduto per José Ortiz – ha dimostrato di saper essere un autore classico sulle storie regolari. Nonostante la personalità forte, Font ha un segno western fantastico. Autori come Ortiz sono passati subito al seriale. Font, essendo più imprevedibile, ha avuto bisogno di un po’ di tempo in più”.
Sembra però che i lettori di Tex non siamo ben disposti verso i cambiamenti.
“I lettori di Tex sono esigenti e molto legati al segno classico. Sì, c’era il timore che Font, capace di creare ambientazioni bizzarre, li sconcertasse. Ma anche i lettori sono riusciti a coglierne il valore”.
Di Font cosa ti piace?
“Lo stile e la sua capacità di raccontare il fulcro della scena senza distrazioni. E riesce a creare intorno ai personaggi un ricchissimo ambiente. A ogni rilettura de «Gli assassini», per esempio, si scopre sempre qualche particolare nuovo”.
Senza trascurare, poi, l’utilizzo dei chiaroscuri…
“Font ha una straordinaria capacità di illuminare, di utilizzare sapientemente il chiaroscuro. Dà forma alle figure con talento. Lavorare col chiaroscuro per dare spessore e forma alle figure è una delle più belle conquiste del Rinascimento. È fondamentale saperle sfruttare al meglio”.
Hai mai pensato di disegnare una storia?
“Ti confesso che, purtroppo, non so disegnare. Se lo sapessi fare mi divertirei. Perché credo mi appartenga una certa cultura dell’immagine”.
“Lo stile e la sua capacità di raccontare il fulcro della scena senza distrazioni. E riesce a creare intorno ai personaggi un ricchissimo ambiente. A ogni rilettura de «Gli assassini», per esempio, si scopre sempre qualche particolare nuovo”.
Senza trascurare, poi, l’utilizzo dei chiaroscuri…
“Font ha una straordinaria capacità di illuminare, di utilizzare sapientemente il chiaroscuro. Dà forma alle figure con talento. Lavorare col chiaroscuro per dare spessore e forma alle figure è una delle più belle conquiste del Rinascimento. È fondamentale saperle sfruttare al meglio”.
Hai mai pensato di disegnare una storia?
“Ti confesso che, purtroppo, non so disegnare. Se lo sapessi fare mi divertirei. Perché credo mi appartenga una certa cultura dell’immagine”.
fonte: Muf mag
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